Le possibilità di esaminare gli oggetti per distinguere quelli archeologici da copie recenti sono per lo più di sorprendente semplicità ed accessibili anche ai meno preparati.
Gli oggetti in ceramica si sono conservati solo in quanto protetti dalla terra in cui sono rimasti sepolti per secoli. L’umidità del terreno ricco di minerali e residui organici ha permeato la massa ceramica lasciandovi delle tracce che rappresentano il mezzo più semplice ed efficace per stabilire l’autenticità.
L’umidità del terreno:
La prima prova dovrebbe dunque consistere nell’inumidire una zona pulita della superficie ceramica con un dito o un pennello bagnato. Se l’oggetto è autentico, si sprigiona un odore simile a quello della terra dopo una pioggia estiva.
Un altro indizio è offerto dalle impronte delle radici pietrificate:
Le radici che aderiscono al corpo ceramico poroso rilasciano nel tempo dei depositi sulla superficie andando a formare delle impronte ramificate dalla forma arrotondata corrispondenti alle radici decomposte o pietrificate (a).
Con una normale lente di ingrandimento (10x), di cui dovrebbe dotarsi chi compra oggetti antichi, si riconoscono chiaramente i solchi arrotondati. I falsari tentano di imitare queste tracce lasciate dalle radici che risultano però piatte e di aspetto differente.
Le incrostazioni:
Le incrostazioni calcaree possono confermare l’autenticità di un reperto archeologico. Verificare le incrostazioni è semplice: quelle autentiche si sciolgono sono utilizzando dell’acido cloridrico mentre le incrostazioni false si eliminano con acqua calda, sapone, alcol o solventi organici. L’analisi chimica spettroscopica, eseguita in laboratori specializzati come quelli del MAS permette di riconoscere in maniera precisa la natura delle incrostazioni differenziando quelle autentiche da quelle artificiali.
Negli oggetti autentici a vernice nera può essere presente una patina superficiale lucida dall’aspetto blu metallico, visibile illuminando l’oggetto con una specifica angolazione di luce. Le incrostazioni causate dalle radici possono confermare l’autenticità, poiché impediscono la formazione di questo strato lasciando “ombre” della forma delle diramazioni delle radici.
I funghi di muffa carbonizzati:
La presenza di queste macchie caratteristiche offrono una prova certa di autenticità. Questi licheni crescono sulla superficie ceramica in presenza di umidità formando delle macchie scure di forma irregolare e dai contorni frastagliati (4). Nel corso dei secoli un microrganismo (Micrococcus Carbo) trasforma in carbone la materia di cui è composto il lichene.
Sotto la lente d’ingrandimento si notano bene i contorni irregolari differenti da quelli rotondeggianti delle macchioline spruzzate dal falsario con vernice nera; la presenza di queste macchie artificiali classifica l’oggetto come falso.
Un’ulteriore testimonianza di autenticità si trova osservando l’interno di un recipiente rimasto a lungo pieno d’acqua o di fango nel sottosuolo: in questo caso sono spesso visibili i segni dei diversi livelli raggiunti dal liquido.
Generalmente i vasi falsi vengono ricoperti all’interno con uno strato omogeneo monocolore di colla mescolata a terra marrone o impiegando direttamente del fango.
Non tutti i reperti archeologici autentici di antiche culture presentano però segni di invecchiamento ben visibili.
Nei terreni secchi del Sud-America, dell’Italia meridionale o della Cina possono formarsi incrostazioni che si riescono a individuare solo facendo uso di un buon microscopio. Gli antichi oggetti in ceramica ritrovati sul fondo del mare non sono coperti dai cristalli del terreno, ma solo dalle tipiche concrezione marine di origine animale.